Palazzo Roncioni
Il palazzo presenta una facciata della metà del ‘600 sulla quale campeggia lo stemma dei proprietari, un cavallo robusto, detto il “concione” o “ronzone”. Poco più avanti si trova lo scalo Roncioni, una delle ultime rampe d’accesso rimaste verso l’Arno dopo le ristrutturazioni del XIX secolo.
L’edificio sorge grazie all’accorpamento di più case medievali, di cui sono ben visibili alcune tracce sui fianchi esterni. La conformazione planimetrica verso l’interno è a ferro di cavallo dove ampi affacci a loggiato si aprono su un giardino all’italiana recintato da alcune dipendenze. Gli interni conservano pregiati affreschi settecenteschi, ma un recente restauro ha messo in luce anche decorazioni di pittura medievale risalenti al XIII e XIV secolo. Si tratta di 4 parati pittorici riferibili a due differenti piani di un edificio inglobato che raffigurano ideali drappi tessili appesi ai muri. Il più antico mezzo fresco presenta una decorazione a onde bianche e rosse mentre l’altro è decorato con pelli di vaio stilizzate, sul livello superiore troviamo un finto arazzo con cavalieri in armatura e una finta parete lapidea.
Il palazzo appartiene per buona parte ancora alla famiglia Roncioni, discendente di una tra le più antiche casate nobiliari della Toscana, in seguito all’acquisto Balì Cesare, nel 1630. In seguito il Balì Angiolo Roncioni (1748-1812) appassionato d’arte, ingaggiò il pittore G.B. Tempesti per affrescare i muri e le volte e J.B. Desmarais per realizzare alcuni ritratti di famiglia. Nel 1795 fece costruire all’architetto Alessandro Gherardesca un teatrino dove poco dopo Vittorio Alfieri vi recitò il Saul. Tra Sette e Ottocento il palazzo fu l’alloggio temporaneo di ospiti illustri tra i quali il Granduca Pietro Leopoldo, Madame de Staël, Paolina e Luigi Bonaparte e Lord Byron.